STORIE,
ANEDDOTI E BATTUTE |
PERSONAGGI
DEL TEATRO DIALETTALE BRUNO LANFRANCHI, I FRATELLI CLERICI, ALBERTO MONTACCHINI ECC. |
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BRUNO
LANFRANCHI
Nato
nell'Oltretorrente nel 1917, è stato sicuramente uno dei migliori attori
dialettali di Parma. Il padre,Paride, anch'esso attore fin dal lontano 1915,
aveva una compagnia filodrammatica, che recitava in lingua, che, dalla fine
della prima guerra mondiale, prese il nome di "Filippo Corridoni" e
della quale fece parte anche Guido Picelli. La madre, Anita Zerbini, sorella del
poeta Alfredo, gestiva un'osteria, in borgo San Giacomo al n. 12, chiamata
affettuosamente "Giamaica" .
Nell'osteria,
Bruno era chiamato il "Bersaglier" perché era svelto.
Qualche
vecchietto, ne approfittava per mandarlo alla " palta " per comprare
le sigarette o qualche toscano.
"Veh
bersaglier, còrra a comprär un toscan. M'arcmand ch'al sia bel biond, dritt,
senza buz e ch'al sapia äd bon! ".
(Veh, bersagliere, corri a comperare un toscano. Mi raccomando che sia bello,
biondo, dritto, senza buchi e che profumi di buono)
Lui
andava di corsa e guadagnava un soldino.
Uno
dei frequentatori più assidui era "Spaca Madònni", campanaro
della chiesa di Santa Teresa che deve il soprannome al fatto di avere
inavvertitamente fatto cadere una statua che stava pulendo.
Loja,
così si chiamava il campanaro, si recava sempre nell'osteria con il suo
fagottino dove, dopo aver comandato un bicchiere, consumava con calma il suo
frugale pasto. I giovanotti che frequentavano il locale gli avevano affibbiato,
sempre scherzosamente, una fidanzata. Era una vecchietta anch'essa
frequentatrice della "Giamaica" che avevano soprannominato la "Pevronsen'na"
a motivo del suo nasino sempre rosso. Quando erano tutt'e due nel locale, c'era
sempre qualcuno che li stuzzicava bonariamente:
"Veh,
Pevronsen'na, at ricordot quand al t'à incantonè e 'l t'à fat chil proposti
?".
(Veh, Peperoncina, ti ricordo quando ti ha “incantonata” e ti ha fatto
quelle proposte?)
Immancabilmente,
la "Pevronsen'na", abboccava e rispondeva: "A m' ricord äd sicur, mo l'ò anca miss a post! a l'ò infiorè
con un mas d'ortighi".
(Mi ricordo di sicuro, ma l’ho anche messo a posto! L’ho
“infiorato” con un mazzo di ortiche)
Il
piccolo Lanfranchi, figlio d'arte, ereditò dal padre la verve e la
passione
per il teatro. Cominciò a otto anni a dare spettacolo con i burattini nelle
scuole elementari. Usava i burattini di scarto, che gli passava il grande Italo
Ferrari e che lui stesso vestiva. Si costruiva da solo anche le scene. Diventato
più grandicello venne scelto, come attore comico, per interpretare operette
musicali come: "Il canto delle sirene" e "Cianilea", al
Teatro Regio. Renato Simoni, critico d'arte d'allora lo chiamò il piccolo
"Trucchi" che era il comico più in voga a quei tempi.
Recitò
in parecchie commedie e tanti sarebbero gli aneddoti spiritosi. Recitava
"Al Limon", una farsa nella quale un gobbo si reca dal medico perché
gli faccia scomparire la gobba. Il medico gli consiglia di usare dei
"limoni". Dopo un po' di tempo, il gobbo ritorna dal medico con una
gobba di proporzioni enormi lamentando che non era sparita e, al medico che gli
chiede che limoni avesse adoperato, risponde che aveva strofinato sulla gobba
agrumi in forti quantità. Allora il medico, dopo una sonora risata, rispose:
"Mo mi a m'intendeva di limon da frär !".
(Ma io intendevo un “limone” da fabbro!) A questo punto il
sipario avrebbe dovuto chiudersi a grande velocità, ma l'incaricato, il "Tàto",
che si era addormentato, non si decideva a chiuderlo; allora Lanfranchi, che
faceva la parte del dottore e che aveva ancora in mano un mezzo limone, glielo
lanciò con tutta la sua forza al "Tàto" gridando: "Alora,
a tirot o no ?!". (Allora, tiri o no ?!) Il "Tàto",
colpito in pieno viso, si svegliò di soprassalto e fece il suo dovere.
COI
FRATELLI CLERICI
Nel
1938, Bruno Lanfranchi aderì all'invito di Giulio Clerici che aveva intuito le
sue possibilità. Venne allestita una commedia musicale, "Il gallo della
Checca", che fu rappresentata al Regio.
Del
gruppo facevano parte: Iolanda Armenzoni, Cilién, Giulio Clerici, Nera Clerici,
Mario Clerici, Giulio Mainardi, Miriam Rocchi, Mirella Alfieri, Galletti, Silva
e lo stesso Bruno Lanfranchi;
il
maestro era Nando Caleffi. La commedia venne rappresentata con grande successo.
Ne segui un'altra "Lo zio Bernardo" per la regia della quale venne
chiamato Enzo Gainotti.
Parlare
dei Fratelli Clerici per i più anziani sembrerebbe quasi inutile tanto è noto
il loro successo in campo artistico, ma, per i giovani e i meno informati,
ricordiamo che iniziarono con piccole farse fin dal lontano 1921 così, tanto
per divertirsi, per passare il tempo. Ben presto con la loro verve, la comicità,
e soprattutto il loro perenne buon umore, seppero crearsi una cerchia di
appassionati che li seguivano in ogni dove. In cantine, granai, soffitte ecc.
Mario Massa, dentista di Fidenza, prevedendo il successo che avrebbero ottenuto
in avvenire i due fratelli, scrisse per loro commediole in dialetto,
inizialmente basate su un personaggio che si rivelò subito di grande simpatia:
"Crispén" cioè "al cibac", il calzolaio, impersonato da
Italo Clerici. Allora le donne erano piuttosto restie ad entrare in una
compagnia dialettale, per cui, venivano impersonate da uomini vestiti da donna.
Uno di questi fu appunto Giulio Clerici. La volontà
dei
Fratelli Clerici, venne premiata, non senza difficoltà, perché i proprietari
dei teatri, non erano molto propensi a concedere i loro locali a dei dilettanti
che non avevano ancora un nome noto.
Dopo
molte insistenze, i fratelli Clerici, ottennero dall'allora proprietario del
teatro San Giovanni (poi Petrarca, poi Ariston} il permesso per una
rappresentazione. Ebbene, il successo fu tale che il proprietario, l'avvocato
Bagatti, aperse loro le porte per sempre.
LA
COMPAGNIA DI ALBERTO MONTACCHINI E PARIDE LANFRANCHI
Oltre
a quella dei fratelli Clerici, sorse un'altra compagnia, non meno brillante,
quella di Alberto Montacchini e Paride Lanfranchi, il padre di Bruno, che
abbandonata la compagnia filodrammatica di cui era Direttore, si dedicò, anima
e corpo a questo nuovo genere dialettale. Sorsero naturalmente anche altri
scrittori per dare nuova linfa al crescente fabbisogno di nuovi lavori. Dopo
commedie di un solo atto come: "La dmanda äd matrimonni", "La
popolära 'd I'Aida", "Spozemma anca la nona", "Crispén
calsolar", "Crispén dotor", "I guai äd Crispén" ed
altre. Cominciarono ad aversi le commedie in due, ed in seguito, anche di tre
atti. Bruno Lanfranchi parla dei fratelli Clerici come di persone che facevano
parte della sua famiglia. Era molto affezionato a loro e si commuove al solo
parlarne.
PRIGIONIA
Nel
1940 Bruno venne chiamato sotto le armi dove ebbe l'incarico Di allestire
spettacoli per le truppe combattenti. Venne fatto prigioniero a Marsa Matruk e
condotto in Sud Africa dove trascorse cinque lunghi anni in un campo di
concentramento. Anche nel campo fece del teatro: commedie, riviste e macchiette.
Con la sua mimica e le sue espressioni egli riusciva ad interessare anche gli
inglesi che, quando c'era spettacolo al campo, vi portavano le famiglie e
sebbene non capissero una
parola,
ridevano moltissimo. Bruno sostiene che questa è una dimostrazione che il
linguaggio del teatro è universale. Finalmente tornò in Italia e i fratelli
Clerici gli spalancarono le braccia.
Approfittando
della sua ecletticità gli fecero interpretare le parti più disparate.
I
FRATELLI CLERICI
Bruno
racconta che Italo e Giulio, quando arrivavano in un paese per una recita, si
premuravano di conoscere i nomi delle persone più in vista e se, per caso,
fosse capitata loro qualche disavventura,
"par dèrogh 'na mochètta". (Per dargli una presa in giro)
Se riuscivano a trovare qualcosa,
verso la fine della commedia, quando cioè
avevano
già intascato i soldi, trovavano il modo di inserire qualche battuta allusiva
nel copione provocando sempre ilarità nel pubblico ma anche il disappunto delle
persone interessate. In questi casi, l'uscita dal teatro non era sempre agevole.
Una volta, ad esempio, Giulio venne raggiunto mentre stava sgattaiolando dalla
porta sul retro e "incoronato" con una mezza cocomera che gli venne
infilata fino alle spalle. Tutta la compagnia dovette lasciare il paese
attraverso i campi.
Nella
compagnia dei Fratelli Clerici l'attività era molto intensa. C'erano recite
tutte le sere escluso il venerdì, giorno in cui venivano provati i nuovi
lavori. Il trasporto nelle piazze dove si recitava avveniva con la corriera del
famoso Scapuzzi ("Scapùss"). Durante il viaggio gli attori cantavano
e scherzavano in buona armonia. Anche in teatro, dietro le quinte, non mancavano
mai gli scherzi. C'era la Clelia Gazza ad esempio che si addormentava sovente
dietro le quinte vicino alla porta del palcoscenico, in attesa che toccasse a
lei.
A
volte, qualcuno, le batteva un colpetto su di una spalla dicendole; "Clélia,
dai, tòcca a ti!".
La
buona Clelia, svegliata di soprassalto, si precipitava in scena. Italo o Giulio,
le chiedevano; "E ti co' vòt?".
"Gnent", (E tu cosa vuoi
? Niente) rispondeva la Gazza,
che nel frattempo si rendeva conto dello scherzo, e usciva di
scena
dicendo, all'indirizzo del colpevole: "stupidd!".
Oltre allo scherzo della mandata in scena in anticipo, c'era anche quello dello
sgambetto, per cui l'attore che si accingeva ad entrare in scena, veniva
sgambettato e vi entrava ruzzolando, così si sentiva dire: "Co' gh'ät acsì d'important da dirom ch'a t'si gnu dentor tant in
fagoton? ". (Cosa hai di tanto importante da dirmi che sei entrato
tanto all’infuriata ?)
Bruno
Lanfranchi ha scritto poesie e testi spiritosi. Tra questi ultimi vi sono i noti
"PARAGONI IMPOSSIBILI"
Ne
elenchiamo alcuni:
1)
L 'era 'n om tant mägor che s'al s' metäva un pigiama a righi, a se
(Era
un uomo tanto magro che si metteva un pigiama a righe, si vedeva una rete
soltanto)
(Era
un uomo tanto alto, ma tanto alto che, per mettersi il cappello, bisognava che
si accucciasse)
3)
L'era 'n om tant gras, mo tant gras che, par botonär's al zachètt,
(Era
un uomo tanto grasso, ma tanto grasso che, per abbottonarsi la giacca, bisognava
che facesse un passo all’indietro)
4)
L'era 'n om tant sord, mo tant sord ch'al ne s'sentiva gnanca s'al s'ciamä-
(Era
un uomo tanto sordo, ma tanto sordo che non si sentiva nemmeno se si chiamava da
solo)
5)
L'era 'n om tant picén, mo tant picén che, par ne perdros, al sé
(Era
un uomo tanto piccolo, ma tanto piccolo che, per non perdersi, si teneva per
mano)
6)
L' era un om tant debol e tant deperì che, da la paura äd cascär, al
(Era
un uomo tanto debole e tanto deperito che, per la paura di cadere, portava
sempre l’orologio scarico)
7)
L 'era 'na dònna tanta brutta, mo tanta brutta, che sò mari, l'à miss al
(Era
una donna tanto brutta, ma tanto brutta che, suo marito, ha messo il suo
ritratto nel solaio per fare scappare gli scarafaggi)
Questa
che segue invece è una sua poesia che ne rispecchia suo carattere dolce e mite
GNENTA |
NIENTE |
Coza
vót mäi ch'la sia Gnenta! L'é...
cme... un vol 'd rondanen'ni l'é...
cme la blèssa... la muzica... la
virtù... la
sapiensa.! L'é
cme un vent äd primavera...un rag äd sol... un
ciaror 'd lon'na... una
poesia ! Ecco
co' l'é la vóza d'un putén... Gnenta! |
Cosa vuoi mai che sia Niente! E’…come …un volo di rondinelle è…come la bellezza…la musica.. la virtù.. la sapienza! un chia una poesia! Ecco cos’è la voce di un bambino… niente! |
(Bruno
Lanfranchi 31-12-1976)