STORIE, ANEDDOTI E BATTUTE
a cura di Giuseppe Mezzadri

PERSONAGGI DEL TEATRO DIALETTALE

BRUNO LANFRANCHI, I FRATELLI CLERICI, ALBERTO MONTACCHINI ECC.


Compagnia Dialettale Parmense

BRUNO LANFRANCHI

Nato nell'Oltretorrente nel 1917, è stato sicuramente uno dei migliori attori dialettali di Parma. Il padre,Paride, anch'esso attore fin dal lontano 1915, aveva una compagnia filodrammatica, che recitava in lingua, che, dalla fine della prima guerra mondiale, prese il nome di "Filippo Corridoni" e della quale fece parte anche Guido Picelli. La madre, Anita Zerbini, sorella del poeta Alfredo, gestiva un'osteria, in borgo San Giacomo al n. 12, chiamata affettuosamente "Giamaica" .

Nell'osteria, Bruno era chiamato il "Bersaglier" perché era svelto.

Qualche vecchietto, ne approfittava per mandarlo alla " palta " per comprare le sigarette o qualche toscano.

"Veh bersaglier, còrra a comprär un toscan. M'arcmand ch'al sia bel biond, dritt, senza buz e ch'al sapia äd bon! ".
(Veh, bersagliere, corri a comperare un toscano. Mi raccomando che sia bello, biondo, dritto, senza buchi e che profumi di buono)

Lui andava di corsa e guadagnava un soldino.

Uno dei frequentatori più assidui era "Spaca Madònni", campanaro della chiesa di Santa Teresa che deve il soprannome al fatto di avere inavvertitamente fatto cadere una statua che stava pulendo.

Loja, così si chiamava il campanaro, si recava sempre nell'osteria con il suo fagottino dove, dopo aver comandato un bicchiere, consumava con calma il suo frugale pasto. I giovanotti che frequentavano il locale gli avevano affibbiato, sempre scherzosamente, una fidanzata. Era una vecchietta anch'essa frequentatrice della "Giamaica" che avevano soprannominato la "Pevronsen'na" a motivo del suo nasino sempre rosso. Quando erano tutt'e due nel locale, c'era sempre qualcuno che li stuzzicava bonariamente:

"Veh, Pevronsen'na, at ricordot quand al t'à incantonè e 'l t'à fat chil proposti ?". 
(Veh, Peperoncina, ti ricordo quando ti ha “incantonata” e ti ha fatto quelle proposte?)

Immancabilmente, la "Pevronsen'na", abboccava e rispondeva: "A m' ricord äd sicur, mo l'ò anca miss a post! a l'ò infiorè con un mas d'ortighi".
(Mi ricordo di sicuro, ma l’ho anche messo a posto! L’ho “infiorato” con un mazzo di ortiche)

Il piccolo Lanfranchi, figlio d'arte, ereditò dal padre la verve e la

passione per il teatro. Cominciò a otto anni a dare spettacolo con i burattini nelle scuole elementari. Usava i burattini di scarto, che gli passava il grande Italo Ferrari e che lui stesso vestiva. Si costruiva da solo anche le scene. Diventato più grandicello venne scelto, come attore comico, per interpretare operette musicali come: "Il canto delle sirene" e "Cianilea", al Teatro Regio. Renato Simoni, critico d'arte d'allora lo chiamò il piccolo "Trucchi" che era il comico più in voga a quei tempi.

Recitò in parecchie commedie e tanti sarebbero gli aneddoti spiritosi. Recitava "Al Limon", una farsa nella quale un gobbo si reca dal medico perché gli faccia scomparire la gobba. Il medico gli consiglia di usare dei "limoni". Dopo un po' di tempo, il gobbo ritorna dal medico con una gobba di proporzioni enormi lamentando che non era sparita e, al medico che gli chiede che limoni avesse adoperato, risponde che aveva strofinato sulla gobba agrumi in forti quantità. Allora il medico, dopo una sonora risata, rispose: "Mo mi a m'intendeva di limon da frär !".  (Ma io intendevo un “limone” da fabbro!) A questo punto il sipario avrebbe dovuto chiudersi a grande velocità, ma l'incaricato, il "Tàto", che si era addormentato, non si decideva a chiuderlo; allora Lanfranchi, che faceva la parte del dottore e che aveva ancora in mano un mezzo limone, glielo lanciò con tutta la sua forza al "Tàto" gridando: "Alora, a tirot o no ?!". (Allora, tiri o no ?!) Il "Tàto", colpito in pieno viso, si svegliò di soprassalto e fece il suo dovere.

 

COI FRATELLI CLERICI

Nel 1938, Bruno Lanfranchi aderì all'invito di Giulio Clerici che aveva intuito le sue possibilità. Venne allestita una commedia musicale, "Il gallo della Checca", che fu rappresentata al Regio.

Del gruppo facevano parte: Iolanda Armenzoni, Cilién, Giulio Clerici, Nera Clerici, Mario Clerici, Giulio Mainardi, Miriam Rocchi, Mirella Alfieri, Galletti, Silva e lo stesso Bruno Lanfranchi;

il maestro era Nando Caleffi. La commedia venne rappresentata con grande successo. Ne segui un'altra "Lo zio Bernardo" per la regia della quale venne chiamato Enzo Gainotti.

Parlare dei Fratelli Clerici per i più anziani sembrerebbe quasi inutile tanto è noto il loro successo in campo artistico, ma, per i giovani e i meno informati, ricordiamo che iniziarono con piccole farse fin dal lontano 1921 così, tanto per divertirsi, per passare il tempo. Ben presto con la loro verve, la comicità, e soprattutto il loro perenne buon umore, seppero crearsi una cerchia di appassionati che li seguivano in ogni dove. In cantine, granai, soffitte ecc. Mario Massa, dentista di Fidenza, prevedendo il successo che avrebbero ottenuto in avvenire i due fratelli, scrisse per loro commediole in dialetto, inizialmente basate su un personaggio che si rivelò subito di grande simpatia: "Crispén" cioè "al cibac", il calzolaio, impersonato da Italo Clerici. Allora le donne erano piuttosto restie ad entrare in una compagnia dialettale, per cui, venivano impersonate da uomini vestiti da donna. Uno di questi fu appunto Giulio Clerici. La volontà

dei Fratelli Clerici, venne premiata, non senza difficoltà, perché i proprietari dei teatri, non erano molto propensi a concedere i loro locali a dei dilettanti che non avevano ancora un nome noto.

Dopo molte insistenze, i fratelli Clerici, ottennero dall'allora proprietario del teatro San Giovanni (poi Petrarca, poi Ariston} il permesso per una rappresentazione. Ebbene, il successo fu tale che il proprietario, l'avvocato Bagatti, aperse loro le porte per sempre.

 

LA COMPAGNIA DI ALBERTO MONTACCHINI E PARIDE LANFRANCHI

Oltre a quella dei fratelli Clerici, sorse un'altra compagnia, non meno brillante, quella di Alberto Montacchini e Paride Lanfranchi, il padre di Bruno, che abbandonata la compagnia filodrammatica di cui era Direttore, si dedicò, anima e corpo a questo nuovo genere dialettale. Sorsero naturalmente anche altri scrittori per dare nuova linfa al crescente fabbisogno di nuovi lavori. Dopo commedie di un solo atto come: "La dmanda äd matrimonni", "La popolära 'd I'Aida", "Spozemma anca la nona", "Crispén calsolar", "Crispén dotor", "I guai äd Crispén" ed altre. Cominciarono ad aversi le commedie in due, ed in seguito, anche di tre atti. Bruno Lanfranchi parla dei fratelli Clerici come di persone che facevano parte della sua famiglia. Era molto affezionato a loro e si commuove al solo parlarne.

PRIGIONIA

Nel 1940 Bruno venne chiamato sotto le armi dove ebbe l'incarico Di allestire spettacoli per le truppe combattenti. Venne fatto prigioniero a Marsa Matruk e condotto in Sud Africa dove trascorse cinque lunghi anni in un campo di concentramento. Anche nel campo fece del teatro: commedie, riviste e macchiette. Con la sua mimica e le sue espressioni egli riusciva ad interessare anche gli inglesi che, quando c'era spettacolo al campo, vi portavano le famiglie e sebbene non capissero una

parola, ridevano moltissimo. Bruno sostiene che questa è una dimostrazione che il linguaggio del teatro è universale. Finalmente tornò in Italia e i fratelli Clerici gli spalancarono le braccia.

Approfittando della sua ecletticità gli fecero interpretare le parti più disparate.

I FRATELLI CLERICI

Bruno racconta che Italo e Giulio, quando arrivavano in un paese per una recita, si premuravano di conoscere i nomi delle persone più in vista e se, per caso, fosse capitata loro qualche disavventura, "par dèrogh 'na mochètta". (Per dargli una presa in giro)  Se riuscivano a trovare qualcosa, verso la fine della commedia, quando cioè

avevano già intascato i soldi, trovavano il modo di inserire qualche battuta allusiva nel copione provocando sempre ilarità nel pubblico ma anche il disappunto delle persone interessate. In questi casi, l'uscita dal teatro non era sempre agevole. Una volta, ad esempio, Giulio venne raggiunto mentre stava sgattaiolando dalla porta sul retro e "incoronato" con una mezza cocomera che gli venne infilata fino alle spalle. Tutta la compagnia dovette lasciare il paese attraverso i campi.

Nella compagnia dei Fratelli Clerici l'attività era molto intensa. C'erano recite tutte le sere escluso il venerdì, giorno in cui venivano provati i nuovi lavori. Il trasporto nelle piazze dove si recitava avveniva con la corriera del famoso Scapuzzi ("Scapùss"). Durante il viaggio gli attori cantavano e scherzavano in buona armonia. Anche in teatro, dietro le quinte, non mancavano mai gli scherzi. C'era la Clelia Gazza ad esempio che si addormentava sovente dietro le quinte vicino alla porta del palcoscenico, in attesa che toccasse a lei.

A volte, qualcuno, le batteva un colpetto su di una spalla dicendole; "Clélia, dai, tòcca a ti!".

La buona Clelia, svegliata di soprassalto, si precipitava in scena. Italo o Giulio, le chiedevano; "E ti co' vòt?". "Gnent", (E tu cosa vuoi ? Niente)  rispondeva la Gazza, che nel frattempo si rendeva conto dello scherzo, e usciva di

scena dicendo, all'indirizzo del colpevole: "stupidd!". Oltre allo scherzo della mandata in scena in anticipo, c'era anche quello dello sgambetto, per cui l'attore che si accingeva ad entrare in scena, veniva sgambettato e vi entrava ruzzolando, così si sentiva dire: "Co' gh'ät acsì d'important da dirom ch'a t'si gnu dentor tant in fagoton? ". (Cosa hai di tanto importante da dirmi che sei entrato tanto all’infuriata ?)

Bruno Lanfranchi ha scritto poesie e testi spiritosi. Tra questi ultimi vi sono i noti

"PARAGONI IMPOSSIBILI"

Ne elenchiamo alcuni:

1) L 'era 'n om tant mägor che s'al s' metäva un pigiama a righi, a se v'däva una riga soltant.  
(Era un uomo tanto magro che si metteva un pigiama a righe, si vedeva una rete soltanto)

 2) L 'era 'n om tant ält, mo tant ält che, par mèttros al capél, bizognäva ch'al s' cuciss.  
(Era un uomo tanto alto, ma tanto alto che, per mettersi il cappello, bisognava che si accucciasse)

3) L'era 'n om tant gras, mo tant gras che, par botonär's al zachètt, bizognäva ch'al fiss un pas a l'indrè.  
(Era un uomo tanto grasso, ma tanto grasso che, per abbottonarsi la giacca, bisognava che facesse un passo all’indietro)

4) L'era 'n om tant sord, mo tant sord ch'al ne s'sentiva gnanca s'al s'ciamä- va da lù!  
(Era un uomo tanto sordo, ma tanto sordo che non si sentiva nemmeno se si chiamava da solo)

5) L'era 'n om tant picén, mo tant picén che, par ne perdros, al sé tgnäva par man!  
(Era un uomo tanto piccolo, ma tanto piccolo che, per non perdersi, si teneva per mano)

6) L' era un om tant debol e tant deperì che, da la paura äd cascär, al portava sempor l'arloj scarogh.  
(Era un uomo tanto debole e tanto deperito che, per la paura di cadere, portava sempre l’orologio scarico)

7) L 'era 'na dònna tanta brutta, mo tanta brutta, che sò mari, l'à miss al sò ritrat int al granär par zmarir i scarafas.  
(Era una donna tanto brutta, ma tanto brutta che, suo marito, ha messo il suo ritratto nel solaio per fare scappare gli scarafaggi)

Questa che segue invece è una sua poesia che ne rispecchia suo carattere dolce e mite

GNENTA

NIENTE

Coza vót mäi ch'la sia la vóza d'un putén...?

Gnenta!

L'é... cme... un vol 'd rondanen'ni ca scoriata pr'al cel...

l'é... cme la blèssa... la muzica... la tenerèssa...

la virtù...

la sapiensa.!

L'é cme un vent äd primavera...un rag äd sol...

un ciaror 'd lon'na...

una poesia !

Ecco co' l'é la vóza d'un putén...

Gnenta!

Cosa vuoi mai che sia la voce di un bambino….?

Niente!

E’…come …un volo di rondinelle che corrono per il cielo…

è…come la bellezza…la musica.. la tenerezza…

la virtù..

la sapienza!

E’ come un vento di primavera…un raggio di sole…

un chiaro di luna….

una poesia!

Ecco cos’è la voce di un bambino…

niente!


(Bruno Lanfranchi 31-12-1976)


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