STORIE,
ANEDDOTI E BATTUTE |
PERSONAGGI
PARMIGIANI
GINO PICELLI |
|
Ho
conosciuto l’oste Picelli circa 25 anni fa quando facevo le ricerche per il
mio
libro “Apenna da biasär”. Il testo che segue
è tratto appunto da quel libro
Mi
colpivano particolarmente, di lui, la schiettezza e la facilità di battuta.
La
filosofia
“Mi
sarniss al client, i bulòtto äd Pärma in borogh Marodol j àn capi
ch'a
tira 'na brutt'aria.
(Io scelgo
il cliente e i bulli hanno capito che tira una brutta aria)
Dedchi
j èn passè tutti e tutti j àn fat pitè, dal primm a l'ultim,
i
pù bej, i pù brutt e i pù fort.
(Da qui sono
passati tutti e tutti hanno fatto cilecca)
Primma
an s' era miga ‘csi; son dvintè prepotent a fär l'ost.”
(Prima non
ero così)
Con queste
parole Gino Picelli spiega quale sia la sua filosofia professionale di oste.
Gino, classe
1928, è un oste di vocazione tardiva e pertanto convinta. Vent'anni fa infatti
egli abbandonò il suo mestiere di pavimentista per dedicarsi all'osteria di
borgo Marodolo di cui rilevò la gestione.
Dette al
locale il nome di « OSTARIA DUCALE PARMA VECCHIA » e si dedicò con passione
al suo lavoro.
Lo stile di
Picelli è stato quello di creare un locale dove si trovassero bene e a loro
agio tutti coloro che amano Parma, la buona tavola e l'amicizia. Non tollera i
bulli e gli ubriachi che infastidiscono. Ormai è una cosa risaputa
nell'ambiente e di norma il suo locale è schivato dalla clientela
indisciplinata.
Ogni tanto
qualcuno ci riprova, ma Gino è inflessibile e spiega loro molto chiaramente:
“Ragass
a podi 'ndär parchè chi morì dala sèi .”
(Ragazzi, potete andare a casa perché qui morite di sete)
Amore
per Parma
All'arredamento
del locale Gino ha dato un'impronta personale.
L 'osteria è praticamente tappezzata di quadri, fotografie e sculture che hanno
per soggetto la lirica e Parma.
« Ai
me fiò gh'ò dè 'l patrimonni äd vrer ben ala genta e 'd vrer ben:
(Ai miei
figli ho dato l’insegnamento di volere a Parma e alla gente)
Questo amore
per la sua città traspare sempre dai suoi discorsi e nel suo modo di agire.
«
Parma la s’rà volgara int'al dialett; mo l'è generosa e bela » aggiunge.
Egli
sostiene che a suo parere la generosità dei parmigiani col passare degli anni
non è venuta meno e pensa che non morirà mai, a patto
naturalmente, che si insegni ai giovani a continuare questa tradizione e
a coltivare questa dote che non è monopolio nostro, ma che la città possiede
nella propria tradizione.
racconta che
quando era in Francia per lavoro a chi gli chiedeva:
“Sei
Italiano?” egli
rispondeva: «
No, a son äd Pärma ».
La
cucina tradizionale
Nelle
osterie di un tempo la cucina era molto importante. Si cominciava al mattino con
i “brodini”, a mezzogiorno il pranzo e per tutto il resto deIla giornata
c'era sempre a disposizione un piatto di busecca.
Gino è
diventato uno specialista nel preparare la busecca, che cucina secondo i canoni
più tradizionali, una volta la settimana, a circa 30 chili per volta.
Il lunedì,
giorno che Gino dedica alla preparazione della busecca, per otto ore è
irreperibile. Pulisce, taglia, sgrassa tutto il giorno e verso sera
comincia a farla bollire assieme a tutte le verdure. Il martedì l'enorme
pentolone continua a bollire con il prezioso contenuto, mentre il mercoledì
serve al riposo e alla « maturazione » della busecca, che è pronta per essere
servita il giorno dopo, cioè il giovedì.
Molto amici
di Gino e della sua busecca sono un gruppo di orchestrali della RAI di Torino
che fanno scalo in borgo Marodolo tutte le volte che riescono a sostare a Parma,
il che accade tutti gli inverni, in occasione dei concerti di Mozart a Bologna e
Firenze.
Il
segreto
Un altro
cliente affezionato della trippa di Gino è il cantante lirico Giuseppe Valdengo,
un uomo che porta in giro i suo 67 anni nei teatri di tutto il mondo. In
occasione di una serata passata in compagnia di amici, in borgo Marodolo, con un
menù che prevedeva trippa, cotiche e sanguinaccio, arrivati al caffè, egli
richiamò l'oste e gli disse:
« Gino ti offendi se
al posto del caffè prendo un'altra trippa? ».
Altre
specialità di Gino sono: i gnocchi, le cotiche coi fagioli, il sanguinaccio e
una pastasciutta con un ragù segreto che i suoi clienti da dieci anni
continuano ad apprezzare, e per primi, pretendono che non venga
cambiato. «
Al segret », dice, «
L’ é fär bojjor la roba ». (Il segreto è far bollire la roba)
La moglie,
invece, la simpatica signora Luisa, si interessa del minestrone che preparara
con la pestata di lardo.
Il
Capuccino
Gino conserva il locale nella più genuina tradizione di osteria e perciò bandisce le ricercatezze e le cose sofisticate. Pochi piatti ma ben curati. Un giorno, ad esempio, entrò un avventore e chiese una cioccolata in tazza.
«
Cme s' fa a färla? » (Come si fa a farla ?)
gli chiese l'oste un po’ per celia e un po’ sul serio.
Al cliente
in imbarazzo Gino spiegò poi candidamente:
« Al m'à da scusär
mo'
la cicolata an gh'l ò miga. Al capirà, i me clienti i vol’n al capusen col
ven
inveci che col lat! ».
(Mi deve
scusare ma la cioccolata non l’ho. Capirà, i miei clienti, il capuccino, lo
vogliono con il vino anziché col latte)
Il
muratore
Le battute non gli mancano. Un giorno un muratore gli fece osservazione sui bicchieri
« Gh'ät miga i bicer col manogh? » (Non hai bicchieri col manico ?)
« Al manogh agh
l'à al badil » (Il manico l’ha il badile) rispose Gino
« A n' ät miga vu basta? ». (Non ne hai avuto abbastanza ?)
A Parma, per
una ragione o per l'altra, ogni tanto si gira un film.
Sono in parecchi i parmigiani , a vari titoli, ma soprattutto come comparse, vi
partecipano.
Uno di questi è Renato detto « il Sceriffo », che figura nel cast dell'ultimo
lavoro girato a Parma: l'opera televisiva « Giuseppe Verdi ».
Una sera
Renato era da Gino Picelli dove, in mezzo ad una compagnia rallegrata da qualche
bicchiere di lambrusco, raccontava i particolari della propria carriera
artistica in termini molto lusinghieri.
Il detto che
« il cliente ha sempre ragione » vale anche per Gino, ma non al punto da
impedirgli di dire una buona battuta. Sentendo Renato vantarsi tanto gli disse:
« T'é
da esor un bel dramatich, ti. At dovriss fär l'artista äd profession »..
«
Parchè co’ te davIz ch asIa ? » (perché, cosa pensi che io sia?)
« T'é
'n ambisioz miga da riddor »
ribattè Gino.
«
Si, mi son anca ambisioz mo d'artista cme mi a Pärma a n’ gh'n'é gnan von!
»
(Sono anche ambizioso ma artisti come me a Parma non ce n’è nemmeno uno)
rispose Renato.
« A
t gh'è ragion! ». Sät co' t’ dovriss fär ti? Andär
a “vino hollywood” cme i
divo
a mètter zo l'impronta dal scudlen! ».
(Hai
ragione, sai cosa dovresti fare ? Andare a “vino-hollyvood” come i divi e
mettere l’impronta dello “scodellino) (Nello scodellino si beveva il vino)
Questi "consigli" non sono da prendere sul serio. Mi servono per
elencare una serie di detti elaborati da un mio cugino che possiede un talento
naturale per la filosofia..
Una sera da Gino Picelli, il famoso oste di borgo Marolo, Renato, dopo aver fatto il pieno, si vantava davanti a tutti, della propria carriera artistica in termini fin troppo lusinghieri.
Gino, ironicamente gli disse:
« Ti ch’at si propria un bel dramatic, at dovriss far l'artista ad profesjon ».
« Parchè co' t'è davis ch'a sia? ».
«Un ambisioz” ribattè Gino.
« Si, mi sarò anca ambizios mo d'artista cme mi a Parma an gh'n'è gnan von! » rispose Renato.
« At gh'è ragion! ».
Sat co't dovriss far ti? Andar miga a Holliwood mo a vinohollywood e cme i divo a metor zo, inveci dla man, l'impronta dal scudlen! ».