STORIE,
ANEDDOTI E BATTUTE |
LEZIONI
DI
DIALETTO II lezione |
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SECONDA
LEZIONE
Vittorio Botti
Si
è già fatto presente nel precedente incontro che indica una pronuncia rapida:
Es.
Pòss (pozzo) (distinto
da Pòs = posso e Pòz = poso) Es.
Pèss (pesce) (distinto
da pés = peggio) |
Es.
Òmm (uomo) Es.
Ròssa (rossa) Es.
Riss (riccio) Es.
Mèss (messo) (distinto
da Méz = mese o mezzo) |
Le
parole italiane che finiscono in: -ena,
-ina, -ona, -una |
Si
traducono con: -en’na -on’na |
Es.
Sren’na (serena) Es.
Cantén’na (cantina) Es.
Paton’na (pattona) Es.
Fortón’na (fortuna) |
«La
grafia con apostrofo intermedio è suggerita dall’effettivo distacco di
pronuncia tra la prima parte della parola e la sillaba finale –na;
altrimenti
tali parole si leggerebbero erroneamente con la pronuncia italiana di parole
come antenna, donna, penna»
(Bocchialini – «Dialetto vivo»
pag. 22)
A
differenza dei casi precedenti, nei quali una consonante «n» viene
raddoppiata, il dialetto tende a trasformare le consonanti doppie in semplici.
Esempi:
Fisär
(fissare); Giasa (ghiaccio); Guéra (guerra); Pasion (passione); Rotura
(rottura); Sabja (sabbia); Toron (torrone)
Es.
Cardù (creduto; Cräva (capra);
Frär (fabbro); Gionvot
(giovanotto); Plugga (pulce);
Preda (pietra).
Bic’rén
(bicchierino) |
Cridär
(piangere) |
Bzär
(pesare) |
Fnissni
(finiscono ?) |
Ciac’ri
(chiacchiere) |
Bòcla
(orecchino oppure addéntala): la scelta del significato si desume
dal contesto. |
Pchè
(peccato) |
Zgranfgnär (graffiare) |
Mètogla
(metticela) |
Vciara
(vecchiaia) |
Mètla
(mettila) |
Psär
(rappezzare) |
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«gl» con «g» palatale |
Es. Proteg’la (proteggila) |
«gl» con «g» gutturale |
Es. Fógla
(affogala) |
Due
amiche si incontrano:
“Alora sit stada dal dotor ?”
“Si”
“Co’ t’àl ditt ?”
“Ch’a staga a ripoz. Riposo assoluto, l’à ditt”.
“E to’ marì co’ t’àl ditt ?”
“Ch’a cambia dotor “
Modo
di dire che la dice lunga sulla fiducia che i nostri vecchi avevano degli
istituti di credito:
“Sold in banca e rud int la masa, i n’àn maj frutè a
nisson”
Un
modo di dire molto usato un tempo era il seguente:
“Chi gh’è la bala e la mostra”.
Significa
che è il momento della verità e se c’è un inganno salta fuori.
Ho
chiesto al prof. Guglielmo Capacchi da dove derivasse il detto ed egli mi ha
questa interessante spiegazione.
Un
tempo i negozi di abbigliamento vendevano la stoffa in “tagli” dai quali poi
si ricavavano i vestiti su misura. Il negoziante, di norma, teneva nel retro la “Bala”
cioè la stoffa arrotolota, in metratura e, in vetrina, ne metteva
solamente una pezza, la “mostra”. Il cliente
poteva pensare che la stoffa in vetrina fosse di qualità superiore rispetto
quella in magazzino. Il commerciante, per fugare questo dubbio, prendeva dalla
vetrina la “mostra” e, tenendola vicino alla “bala”, dalla quale
avrebbe tagliato il pezzo da vendere e iceva:
“Chi gh’è la bala e chi gh’è la
mostra”
Cioè
non ti ho imbrogliato.