STORIE,
ANEDDOTI E BATTUTE |
LEZIONI
DI
DIALETTO I lezione |
|
PRIMA
LEZIONE
Alcuni
anni
fa
l’associazione
culturale
“Parma
nostra”
su
invito
del
circolo
culturale
“Carlo
Cattaneo”
ha
preparato
e
condotto
una
serie
di
Gli
incontri
sono
stati
condotti
e
preparati,
per
la
maggior
parte,
dal
prof.
Ing.
Vittorio
Botti,
alcuni
dal
presidente
dell’Associazione
“Parma
nostra”
cav.
Enzo
Terenzani
e
alcuni
dal
sottoscritto.
Il
materiale
è
stato
raccolto
e
ordinato
in
dispense
che
senza
avere
la
pretesa
di
formare
un
“corso”
vero
e
proprio
sul
dialetto
pensiamo
possano
avere
un
certo
interesse
per
gli
appassionati
della
nostra
parlata
e
delle
nostre
tradizioni.
La
prolusione
agli
incontri
è
stata
tenuta
dal
Prof.
Giovanni
PETROLINI
che
ha
sviluppato
il
tema:
Il
professore
ha
elencato
alcune
parole
tutt’ora
presenti
nella
nostra
parlata
che
sono
di
origine
“Celtica”
Bènna |
Carro
senza
ruote |
Car |
Carro
con
quattro
ruote |
Galón |
Coscia |
Brèsca |
Favo
asciutto
(da
«brisca»)
Si
usa
ancora
la
frase
«sutt
cme
‘na
brèsca» |
Liddga |
Fango
(dall’irlandese
«ledega») |
Parimenti
quest’altre
parole
che
seguono
sono
esempi
di
parole
di
origine
germanica
(S)biòss |
Nudo
e
asciutto |
Borogh |
Borgo
(da
«burgh»
=
città) |
Guindol |
Arcolaio |
Magón |
Stomaco |
Brovär |
Scottare
i
cibi |
Parecchie
sono
poi
le
parole
di
derivazione
francese
e,
in
seguito
alla
dominazione
austriaca,
non
mancano
parole
derivate
dall’idioma
austriaco
come
nei
due
esempi
che
seguono:
Sarùcch |
Indietro
!
(da
«Zurùck») |
Ràus |
Fuori
! |
Nel
suo
aureo
volumetto
«Il
dialetto
vivo»
(1944)
Iacopo
Bocchialini,
autorevole
studioso
e
saggio
restauratore
e
ordinatore
delle
norme
grammaticali,
distingue
il
dialetto
civile
da
quello
plebeo,
definendo
quest’ultimo
il
dialetto
dei
«cassonieri»,
dei
«capannoni»,
in
quanto
presenta
una
pronuncia
melensa
e
strascicata
(Spaasi,
beel…)
e
sgradevole
(secondo
il
giudizio
del
Giordani),
pieno
di
inutile
enfasi:
«A
talune
di
esse
tende
a
fare
buon
viso,
in
ricordo
della
sua
origene
oltretorrentina,
un
poeta
dialettale
fine
e
delicato
come
il
Pezzani.»
Il
dilemma
sembra
ormai
essersi
risolto
naturalmente
(sono
spariti
«cassonieri»
e
i
«capannoni»),
essendosi
perdute
per
strada
certe
esagerazioni
fonetiche,
e
per
il
lodevole
tentativo
in
atto
da
parte
di
autorevoli
studiosi,
tendente
ad
una
notevole
semplificazione
della
grafia,
di
cui
si
parlerà
nel
secondo
incontro.
Rimangono
tuttavia
alcune
lievi
differenze
(anche
tra
le
due
zone
al
di
qua
e
al
di
là
del
torrente)
in
ordine
soprattutto
alla
pronuncia
della
lettera
«a»
non
accentata.
L’alfabeto
parmigiano
si
compone
di
22
lettere
(
inclusa
j
)
di
cui
6
vocali
(
a,e,i,j,o,u
)
La
vocale
«a»
presenta
due
suoni:
«a»
|
Aperta |
Es.
Mat
(matto) |
«ä» |
suono
intermedio
tra
«a»
ed
«è» |
Es.
Cärna
(carne |
«a»
finale
non
accentata
(atona),
e
spesso
anche
quella
intermedia. |
si
pronuncia
quasi
sempre
come
suono
intermedio
tra
«a»
ed
«e». |
Es.
Famija
(famiglia)
Es.
Dialètt
(dialetto) |
Nota:
Il
Malaspina
definisce
quest’ultimo
suono
(«a»
atona)
«paragonabile
al
dimesso
eco
finale
del
belato».
La
vocale
«e»
presenta
due
suoni:
«e»
aperta |
«è»
come
erba |
Es.
Insèmma
(insieme) |
«e»
chiusa |
«é»
come
chiesa |
Es.
Pianén
(pianino) |
Secondo
il
Bocchialini
l’accento
non
è
necessario
quando
il
suono
della
«e»
corrisponde
a
quello
italiano.
Es.
Temp
(tempo)
–
Sent
(cento).
In
caso
contrario
è
necessario
metterlo:
Es.
Fradél
(fratello)
–
Sètt
(sette)
Si
ricorda
che
in
italiano
si
pronuncia:
Tré
e
non
Trè,
Ré
e
non
Rè,
Perché
e
non
Perché,
Sètte
e
non
Sétte.
La
vocale
«o»
presenta
due
suoni:
«o»
aperta |
«ò»
come
Fuoco |
Es.
Solit
(solito) |
«o»
chiusa |
«ó»
come
torre |
Es.
Pison
(piccione) |
Vale
la
precedente
considerazione
del
Bocchialini
se
c’è
corrispondenza
con
l’italiano.
In
caso
contrario
si
pone
l’accento:
Es.
Sóra
(suora)
–
Ròtt
(rotto)
E’
ormai
abbandonato
il
suono
chiuso
ö,
analogo
al
francese,
come
nella
parola
cór
(cuore)
,
anticamente
«coeur».
La
vocale
«u»
«u» |
Talvolta
si
muta
in
«v» |
Es.
Avtón
(autunno) Es.
Avtista
(autista) |
Tutti
i
femminili
in
dialetto
terminano
in
«a»,
anche
quelli
che
in
italiano
terminano
in
«e»
(es.
Carne,
febbre
ecc)
Ciò
è
discutibile
anche
perché
la
«a»
finale
si
orienta
verso
la
«e»
(Fréva=febbre)
La
«c»
italiana
davanti
ad
«e»
e
«i» |
in
inizio
di
parola
si
è
a
volte
trasformata
in
«s». |
Es.
Sercär
(cercare)
Es.
Sivètta
(civetta) |
La
«g»
italiana
davanti
ad
«e»
e
«i» |
Tende
a
dare
«z»
dolce |
Es.
Znòc’
(ginocchio
Es.
Zlè
(gelato) |
«ch»
e
«gh»
in
dialetto
diventano |
«c»
e
«g»
dolci |
Es.
Ceza
(chiesa) Es.
Gianda
(ghianda) |
«ch»
e
«gh»
in
dialetto,
nei
finali
di
parola
si
usa: |
«c’
«
«g’
« «ch» «gh» |
Es.
Oc’
(occhio) Es.
Mag’
(maggio) Es.
Tòch
(pezzo) Es.
Fagh
(faccio) |
La
«p»
tra
due
vocali |
Si
trasforma
in
«v» |
Es.
Savor
(sapore) Es.
Lòvv
(lupo) |
La
«z
»
tra
due
vocali |
Si
traduce
con
la
«s
» |
Es.
Asion
(azione) Es.
Rasa
(razza) |
La
«z
»
nel
dialetto |
Viene
usata
per
indicare
la
«s»
dolce |
Es.
Róza
(rosa)
–Dez
(dieci)
–Mézdì
(mezzodì) |
«gl
»
e
«sc
»
nessi
consonantici |
Mancano
nel
dialetto.
Fa
eccezione
l’articolo
determinativo
femminile
plurale
davanti
a
vocale |
Es.
Gli
óngi
(le
unghie) |
«gl
» |
Spesso
diventa
«j
» |
Es.
Paja
(paglia) |
«sc» |
Si
usa
la
forma
«s’c
« |
Es.
S’ciop
(schioppo) Es.
Viss’c
(vischio) |