STORIE,
ANEDDOTI E BATTUTE |
GENNAIO |
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PROVERBI
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Chi è
boziädor, l'è lädor |
Vestissa un
päl e 'l parrà un cardinäl |
A parlär
pòch la 's'indven'na |
Tutt i
zbuton i paron inans un pas |
Chi pensa
mäl, indven'na spèss |
Pramzàn
lärgh ad bòcca e stricch äd man |
A còrra pu
còll ch'a scapa che coll ch'còrra a drè |
Na man läva ch l'ältra e tutt il dòi lävon la facia |
"Chi maledissa al Sgnor, al gh'n'à äd bizzògna".
(Chi maledice il Signore ne ha
bisogno)
"Chi condana al pol sbaliär, chi pardon'na al
ne sbalia mäi."
(Chi condanna può sbagliare. Chi perdona non sbaglia mai)
"I ver guai äd la vitta i comincion quand in
ca' an gh' manca pu njent."
(I veri guai della vita cominciano quando in casa non manca più nulla)
"La coresion la pol
fär bombén, mo l'incoragiament al fa äd pù".
(La correzione può fare molto ma l’incoraggiamento fa di più)
RECIPROCITA’
Mia mamma per insegnarci che esiste una reciprocità nei comportamenti usava un modo di dire che è un po’ un equivalente dell’italiano “chi la fa l’aspetti”.
Il detto era: “Gh’é tant da l’aqua al pont, cme dal pont a l’aqua “ (c’è la medesima distanza dall’acqua al ponte che dal ponte all’acqua).
Non deve stupire perciò se in Africa, per spaventare i bambini, non dicono, come noi, “attento che c’è l’uomo nero” ma, e con più ragione se guardiamo alla Storia, “Attento che c’è l’uomo bianco”.
Nebbia, in dialetto, si dice fumära anche se ormai sono in molti a dire nébia che è una forma di dialettizzazione dell’italiano. E’ un peccato veniale e comunque è sempre meglio che non parlarlo affatto il dialetto.
Questa evoluzione capita anche ad altre parole come, ad esempio, alla parola “gradino” che in dialetto si dovrebbe dire péca ma che ormai è quasi sempre spodestata da gradén. Oppure la parola gengiva che si dovrebbe tradurre con zonzìa anziché gengiva come in italiano. Altri esempi di parole che si evolvono sono; “patate” che diventa patati anziché pòmm-da-téra, “mattone” che diventa matón invece di quadrél e “pomodori” che fa pòmmdor al posto di tomachi.
La storia del vino dato da bere nel piatto ricorda un modo dire che le suocere, un tempo, utilizzavano per fare osservazione alle nuore quando vedevano delle ragnatele al soffitto. Il detto era “Béva äd j óv!” (bevi delle uova). La giovane sposa, bevendo le uova, avrebbe alzato lo sguardo verso l’alto e così avrebbe visto le ragnatele da togliere.
Un mio amico si lamentava, con il fratello prete, del ferreo controllo della moglie. Questi gli disse che anche lui non era poi tanto libero perché “aveva sposato la Chiesa”.
“E’ vero che tu hai sposato la Chiesa”, ribattè il mio amico: “Mo s’a t’ vè a cà tärdi la ne t’bräva miga! (Se vai a casa tardi non ti sgrida)
Dicono gli esperti che la nostra è la “società dell’apparire”. Si tratta di un difetto che, sebbene non in modo così vistoso, è sempre stato presente ed era stigmatizzato da un detto che mia mamma ripeteva abbastanza spesso: “Apparire e non essere, è come filare e non tessere”.
Mi diceva un’anziana signora attenta alle mutazioni del costume:
“Al giorno d’incón väl pu ‘l cul che la facia !”
Ci sono persone che, almeno in apparenza, sanno vedere il lato positivo in ogni circostanza. Un amico al quale ho chiesto come andassero le cose con i suoi figli mi ha risposto:
“Dil volti i m’
spudon ados, mo so ch’ j en san !”
( a volte mi sputano addosso ma so che sono sani).
Un altro, exallievo dell’Oratorio, al quale ho chiesto come stava, mi ha detto:
“ I m’àn catè un
tumor, mo gh’ò otant’an e son sempor ste onest, chi s’nin frega”.
(Mi hanno trovato un tumore, ma ho ottant’anni e son sempre stato
onesto, chi se ne frega!)
In un paese viveva un tale che era rinomato per essere pidocchio e taccagno. La moglie, che se ne vergognava, era morta improvvisamente. I maligni commentarono:
“L’è morta da la
reputasion”
Mi raccontava una signora di quando suo padre aveva avuto un infarto.
Passato il momento critico un medico cominciò ad in formarsi sulle sue abitudini di vita. Siccome suo padre non fumava, non beveva alcolici, mangiava il giusto e faceva passeggiate il medico commentò che non aveva fattori di rischio.
Ma il malato rispose:
“I fattori di rischio li ho anch’io. A gh’ò sinq femni in ca’. ‘Na mojera e tre fjoli ch j en compagni a lè e anca al càn l’è ‘na femna”