STORIE,
ANEDDOTI E BATTUTE |
NUOVI
AMICI Bruno Ugolotti |
|
Quando
ho
cominciato
la
mia
collaborazione
con
Parmaitaly,
tramite
questa
rubrica
di
“storie
e
battute”,
speravo
di
entrare
in
contatto
con
altre
persone
che
condividevano
la
mia
passione
per
il
nostro
dialetto,
le
storie,
le
battute,
i
proverbi
e
i
modi
di
dire.
In
altre
parole
per
le
nostre
tradizioni.
In
effetti
ho
avuto
modo
di
conoscere
e
fare
amicizia
con
alcuni
lettori.
Di
recente
poi
sono
in
contatto
con
il
signor
Bruno
Ugolotti
che
vive
a
Lima.
Questo
signore,
che
ha
già
pubblicato
in
lingua
inglese,
ci
ha
inviato
un
racconto
molto
bello
che
fa
parte
di
una
raccolta
di
sette
racconti.
“I
Racconti
del
Feudo”.
Il
signor
Ugolotti,
su
nostra
richiesta,
ci
ha
autorizzati
a
pubblicarlo.
Giuseppe
Mezzadri
Desideriamo anche segnalare che la serie dei sette racconti è inedita per cui, se qualcuno fosse interessato alla loro pubblicazione, può comunicelo e noi provvederemo a metterlo in contatto direttamente con l’autore.
Quando
Messitilio
venne
promosso
campanaro,
assunse
anche
l'
ufficio
di
becchino
della
comunitá.
Oltre
a
scavare
le
fosse
per
i
morti.
questo
ufficio
importava
l'
obbligo
di
segare
l'
erba
del
piccolo
cimitero
ogni
tre
mesi,
riparare
il
muretto
di
cinta
danneggiato
dagli
animali
al
pascolo,
ungere
i
cardini
del
cancello
quando
veniva
la
primavera.
Se
poi
a
qualcuno
fosse
venuta
la
cattiva
idea
di
morire
d'
inverno,
egli,
malgrado
l'
etá
avanzata,
doveva
incaricarsi
di
spalare
la
neve
caduta
sul
sentiero
che
dal
borgo
portava
al
cimitero.
Secondo
il
registro
parrocchiale
di
quei
tempi,
il
vecchio
era
stato
battezzato
col
nome
di
Marsilio.
Da
Marsilio
ad
Attilio
il
passo
é
breve.
Se
poi
si
tiene
conto
del
cospicuo
numero
di
nipoti
e
pronipoti
che
con
l'
andar
del
tempo
egli
aveva
accumulato
tra
la
popolazione
del
luogo,
composta
da
un
numero
limitato
di
famiglie
quasi
tutte
legate
fra
di
loro
da
vincoli
di
parentela,
potrá
giustificarsi
facilmente
l’
unione
dei
tre
nomi
“mé
–
ssí
-
Tilio”.
Vale
a
dire
“mio
zio”
nel
dialetto
locale,
seguito
da
un
Attilio
decapitato
secondo
l’
uso
endemico
in
quei
paesi
di
ridurre
le
parole
ai
minimi
termini.
Il
vecchio,
insomma,
era
praticamente
zio
di
tutti,
e
tutti
lo
chiamavano
Messitilio..
Occorre
premettere
che
ben
pochi,
tra
i
villici
del
borgo,
avrebbero
avuto
il
coraggio
di
metter
piede
nel
cimitero
dopo
il
tocco
dell’
“Ave
Maria”
e
prima
dell’
“Angelus”.
Ma
che
piede!
Non
ci
sarebbero
nemmeno
passati
vicino.
Quando
il
pianoro
solitario
su
cui
esso
stava
fondato
cominciava
a
sommergersi
nelle
tenebre
e
i
castagni
centenari
allungavano
le
braccia
sul
sentiero
d’
accesso,
qualcosa
di
spaventoso
si
metteva
a
strisciare
fra
le
lapidi.
Si
udivano
stertori
d’
oltre
tomba
e
trascinio
di
catene
provenienti
da
insondabili
profonditá,
mentre
gli
attrezzi
nello
stambugio
del
becchino
cozzavano
tra
loro
mossi
da
mani
invisibili.
Piú
d’
un
borghigiano,
obbligato
a
passare
di
notte
davanti
al
cancello
coperto
di
ruggine,
si
era
sentito
chiamare
per
nome.
Era
impossibile
dimenticare
il
tono
agghiacciante
di
quelle
voci.
L’
ultimo
caso,
quello
di
Battiston
da
la
Capana,
che
aveva
mollato
il
sacco
delle
galline
ed
era
giunto
a
casa
incanutito
e
coi
calzoni
lordi
aveva
fatto
il
giro
del
contado
con
la
velocitá
d’
un
lampo.
Tanta
impressione
aveva
provocato
che
i
viandanti
in
ritardo,
anziché
utilizzare
il
sentiero
del
cimitero
per
rincasare,
preferivano
tagliare
per
i
boschi
col
rischio
di
cadere
in
un
dirupo
e
rompersi
l’
osso
del
collo,
specie
se
avevano
come
al
solito
qualche
bicchiere
di
piú
sulla
coscienza.
Ma
ció
non
disturbava
Messitilio,
anzi
lo
favoriva
per
certi
suoi
affarucci
delicati
e
definitivamente
poco
puliti.
Che
fosse
complice
dei
fantasmi
é
solo
una
congettura.
Nessuno
giunse
mai
a
stabilirlo.
Si
puó
dire
ch’
egli
considerasse
il
cimitero
come
sua
dimora
preferita.
Se
non
lo
si
vedeva
sul
campanile
occupato
a
lucidare
i
bronzi
o
ad
oliare
i
castelli,
lo
si
trovava
certamente
lá
apprestando
nuove
sepolture,
raschiando
i
viottoli
o
rassettando
le
tombe
piú
recenti.
Ció
esorbitava,
é
vero,
ai
suoi
doveri
ma,
oltre
ad
armonizzare
col
suo
temperamento,
gli
procurava
segni
tangibili
di
riconoscenza
da
parte
delle
famiglie
dei
defunti
che
in
questo
modo
potevano
ridurre
le
visite
al
solitario
e
appartato
recinto,
sinistro
anche
di
giorno.
Le
mance
piú
sostanziose
peró
gli
piovevano
per
un
genere
differente
di
servizi.
É
logico
che
in
un
cimitero
in
funzione
da
secoli
i
nuovi
ospiti
si
dovessero
relegare
al
fondo
del
recinto,
dove
restava
ancora
qualche
lembo
di
terra
libera.
Cosa
poco
gradita,
in
veritá,
per
le
famiglie
piú
in
vista
della
localitá.
Possedere
un
intero
castagneto,
terreni
coltivabili
e
stalle
gremite,
eccellere
in
una
parola
sui
compaesani
e
averne
guadagnato
l'
invidia
per
poi
vedersi
costretti
a
seppellire
un
congiunto,
magari
lo
stesso
patriarca
della
famiglia,
in
fondo
al
cimitero,
dietro
a
tutti,
non
era
piacevole
ne’
decoroso.
Il
sistema
escogitato
dal
vecchio
per
ovviare
a
codesto
inconveniente
era
geniale
nella
sua
semplicitá.
Entrava
nel
cimitero
a
notte
fonda
e,
sicuro
di
non
essere
scoperto,
scoperchiava
la
tomba
sicuramente
dimenticata
d’
una
persona
morta
da
qualche
secolo,
e
perció
in
prima
fila,
seppelliva
la
lapide
nel
bosco,
bruciava
i
resti
della
bara
e
raccoglieva
in
un
sacco
le
ossa.
Sceso
al
torrente,
le
seppelliva
in
una
buca
scavata
nella
ghiaia
con
la
certezza
quasi
assoluta
che
le
prossime
piene
se
le
sarebbero
portate
via.
Il
dí
seguente
informava
i
parenti
del
defunto
d’
aver
trovato
dopo
pazienti
ricerche
uno
spazio
libero,
vicino
all’entrata,
corrispondente
alle
loro
aspirazioni.
I
parenti
fingevano
di
credere
alla
fortunata
combinazionre
e
il
vecchio
Messitilio
impinguava
il
suo
gruzzolo.
Cosí
tutti
contenti,
considerando
che
i
morti
non
possono
protestare.
Il
fatto
nuovo,
strano,
che
seminó
il
terrore
tra
i
villici,
accadde
dopo
che
Messitilio
ebbe
rimosso
l’
ultimo
cadavere
per
favorire
il
padrone
del
Palazzo
cui
era
morta
la
moglie.
Essa,
dicevasi,
aveva
vincoli
di
parentela
con
i
famosi
conti
di
Canossa.
Una
transazione
che
aveva
fruttato
al
vecchio
campanaro-becchino
una
discreta
somma
di
ducati
oltre
a
una
borsa
di
trinciato
forte,
da
pipa,
proveniente
dalle
Fiandre.
Era
una
notte
nera.
Minacciava
di
abbattersi
sulla
vallata
uno
di
quegli
spaventevoli
uragani
che
si
formavano
nella
zona
al
colmo
dell’
estate.
La
nuvolaglia
verso
la
pianura
era
stracciata
dai
lampi.
L’
aria
era
satura
d’
elettricitá.
All’
improvviso
apparve
un
lume
sul
greto
del
torrente.
In
un
primo
momento
quasi
nessuno
si
preoccupó:
si
poteva
trattare
della
luce
proiettata
dalla
lanterna
d’
un
viandante
o
d’
un
pescatore
di
frodo
riflessa
dalle
acque,
d’
un
fuoco
di
santelmo.
Corsero
i
primi
brividi
lungo
la
schiena
degli
spettatori
quando
il
lume,
o
la
fiamma,
cominció
a
correre
lungo
il
greto
con
una
velocitá
che
superava
di
gran
lunga
quella
d’
un
cavallo
da
corsa.
La
distanza
non
permetteva
d’
assegnare
all’
apparizione
misure
esatte,
ma
la
maggior
parte
dei
villici
accorsi
sulla
soglia
delle
loro
case
si
trovava
d’
accordo
nell’
attribuirle
l’
altezza
d’
un
uomo.
Il
terrore
raggiunse
l’
apogeo
quando
la
fiamma,
nessuno
ormai
dubitava
che
si
trattasse
proprio
d’
una
fiamma,
prese
ad
attraversare
la
corrente
a
zig-zag
come
se
avesse
avuto
le
ali.
La
pioggia,
cha
cadeva
a
torrenti,
non
la
poteva
spegnere.
A
mezzanotte
spari,
e
a
mezzanotte
morí
il
mugnaio.
La
gente
il
giorno
dopo
corse
in
chiesa,
e
mentre
Messitilio
sonava
campane
a
morto,
il
curato
fece
una
predica
assai
circonstanziata
sopra
i
peccati
di
concupiscenza,
fornicazione
e
adulterio
che
purtroppo
macchiavano
quella
comunitá.
Per
quanto
questo
non
ridondasse
a
favore
della
moralitá
del
povero
mugnaio,
l’
accaduto
era
un
segno
dell’
Altissimo
per
invitare
i
fedeli
a
cambiar
.vita.
Il
fatto
ormai
era
quasi
dimenticato
quando,
una
notte
piovviginosa
ai
principi
d’
autunno,
la
fiamma
riapparve.
La
medesima
notte
morí
l’
ostessa.
La
Diocesi
mandó
un
paio
di
monsignori,
si
celebró
messa
funebre
e
tutti
scesero
in
processione
sul
greto
del
torrente.
Il
parroco
impartí
il
“benedicatur”
coll’
aspersorio
e
l’
acqua
benedetta
alla
corrente
e
alla
ghiaia.
Giunse
l’
inverno
ed
anche
il
greto
si
coperse
di
neve.
Fuoco
e
neve
vanno
poco
d’
accordo,
e
tutti
si
credevano
al
sicuro
quando
una
notte
gelida
un
contadino
che
usciva
dalla
stalla
diede
l’
allarme:
la
fiamma
si
stagliava
nitidissima
sopra
la
coltre
bianca.
Ma
questa
volta
non
si
limitó
alle
consuete
evoluzioni
sul
ghiareto.
Col
cuore
in
gola
i
villici
la
videro
salire
il
viottolo
sassoso
che
portava
alla
Casa
del
Monte
e
sostare
un
attimo
sulla
soglia.
In
quel
momento
esatto
il
padrone
di
casa
cadeva
dalle
scale
e
rimaneva
steso
sul
pianerottolo,
morto
stecchito.
Chi
era
in
grado
di
farlo
lasció
il
paese
quella
notte
stessa.
Molti
cominciarono
a
preparare
i
fagotti.
Se
non
si
fosse
trovato
il
modo
di
scongiurare
lo
spirito
assassino,
il
borgo
in
breve
si
sarebbe
spopolato.
Fu
quando
Messitilio
si
mise
a
riflettere.
Ed
al
cercare
di
raccapezzarsi
scopriva
coincidenze
sempre
piú
allarmanti.
Anzitutto
le
funeste
apparizioni
avevano
avuto
inizio
dopo
la
profanazione
dell'
ultima
tomba.
La
fiamma
poi
nasceva
sempre
nello
stesso
punto:
la
buca
ch’
egli
aveva
scavato
mesi
prima
nel
greto
del
torrente
per
gettarvi
le
ossa
dello
sconosciuto.
Considerando
il
fatto
che
le
vittime
erano
tutti
suoi
parenti
stretti,
e
d’
altro
canto
che
i
suoi
affarucci
si
sarebbero
visti
compromessi
senza
piú
morti
da
seppellire,
Messitilio
decise
d’
iniziare
una
investigazione
che
nessun
altro,
ovviamente,
avrebbe
potuto
condurre.
Sia
detto
a
suo
favore,
gli
rimordeva
anche
un
poco
la
coscienza.
Stracciando
la
neve
tornó
nottetempo
al
pianoro
dove
sorgeva
il
cimitero,
entró
nel
bosco,
disseppellí
la
lapide
del
morto
e
l’
esaminó
attentamente
alla
luce
d’
una
lanterna.
La
lebbra
della
pietra
aveva
cancellato
ogni
iscrizione.
Non
gli
restava
che
scendere
al
torrente.
Sperava
ardentemente
che
le
piene
d’
autunno
se
le
fossero
portate
via,
ma
nel
caso
infelice
che
le
ossa
si
trovassero
ancora
dove
le
aveva
lasciate,
c’
era
la
vaga
possibilitá
di
trovare
un
indizio
dal
quale
si
potesse
partire
per
stabilire
l’
identitá
dello
sconosciuto.
Saputo
il
nome,
c’
era
modo
di
liberarsi
dall’
influenza
maligna
dello
spettro
attraverso
i
rituali
dell’
esorcismo
liturgico;
cosa
che
Messitilio
sapeva
per
l’
infarinatura
di
dottrina
acquisita
durante
i
suoi
contatti
con
i
canonici
di
turno.
Le
piogge
dell’
autunno
erano
state
scarse
e
ad
una
delle
prime
badilate
apparvero
sulla
punta
dell’
attrezzo
le
ossa
d’
una
mano
miste
a
ghiaia.
Senza
alcun
dubbio
esse
appartenevano
allo
sconosciuto.
Faceva
un
freddo
che
tagliava
il
vetro
ed
il
sinibbio
che
scendeva
a
folate
dalle
montagne
copriva
l’
ampia
distesa
del
greto
d’
un
velo
irrespirabile
di
neve.
Ma
dalla
fronte
del
vecchio
cadevano
grosse
gocce
di
sudore.
In
preda
a
dissennata
frenesia
estrasse
dalla
buca
le
ossa
sciolte,
la
rognosa
carcassa
da
cui
pendevano
le
mutilate
estremitá,
ed
alla
fine
il
teschio
separato
dal
busto.
I
vermi
avevano
funzionato
a
dovere:
le
ossa
erano
nude
senza
nessun
indizio
che
ne
potesse
favorire
l’
identificazione.
E
il
vecchio
stava
giá
per
disfarsene
gettandole
nella
corrente
che
correva
ai
suoi
piedi
quando
le
occhiaia
del
teschio
si
cominciarono
a
illuminare
d’
una
luce
infernale.
Il
chiarore
d’
un
primo
quarto
di
luna
nel
cielo
terso
come
il
cristallo
rendeva
ancora
piú
spaventevole
l’
apparizione.
E
mentre
il
vecchio,
bocconi,
si
copriva
la
testa
colle
mani,
la
luce
crebbe.a
sprazzi
trasformandosi
al
fine
in
una
fiamma.
L’
apprezzamento
dei
villici
era
esatto:
la
fiamma
era
alta
come
un
uomo,
ma
un
uomo
di
statura
gigantesca.
“Non
ti
é
bastato
profanare
la
mia
tomba?”
Era
una
voce
cavernosa
proveniente
dall’
interno
della
fiamma
e
che
all’
udito
del
vecchio
pareva
sorgere
dall’
inferno.
Messitilio
alzó
il
capo.
“Confesso
il
mio
peccato”,
riuscí
a
dire.
“Perdono!”
“Mi
hai
tolto
dal
riposo
in
terra
consacrata
e
mi
hai
obbligato
a
vagare
di
nuovo
per
il
mondo.”
“Ti
regalo
i
ducati
che
ho
riscosso,
te
li
regalo
tutti,
é
una
fortuna,
li
conservavo
per
la
mia
vecchiaia.”
“Del
tuo
denaro
non
saprei
che
farmene,
ne’
potrei
piú
fumare
il
tuo
tabacco.
Ma
c’
é
qualcosa
che
potresti
fare:
é
riportarmi
dove
mi
hai
trovato.”
La
voce
era
pacata
ora,
l’
intonazione
quasi
dolorosa.
Passato
il
colmo
della
paura,
si
infiltrava
nell’
animo
del
vecchio
la
curiositá.
“Potresti
dirmi
chi
sei,
o
chi
sei
stato?
Ho
cercato
il
tuo
nome
sulla
lapide,
cercavo
un
segno
fra
le
tue
ossa.
Comprendo
che
ho
commesso
un
sacrilegio
ma
non
era
mia
intenzione
farti
del
male.”
“Sono
il
Conte
Dallacasa
di
Ceretolo”,
rispose
lo
spettro,”e
tutte
queste
terre
erano
mie.
Vissi
ai
tempi
di
Dante
e
di
Petrarca.
Sono
caduto
in
orribili
peccati,
ho
ucciso,
ho
violato
donzelle,
ho
bestemmiato
il
nome
di
tutte
le
gerarchie
del
paradiso,
ma
finalmente
promisi
a
Dio
di
dedicare
gli
anni
che
mi
rimanevano
di
vita
a
redimermi.
Aprii
le
porte
del
mio
castello
e
regalai
ai
poveri
la
maggior
parte
delle
mie
sostanze.
Feci
voto
di
scortare
i
pellegrini
attraverso
le
mie
terre
che
in
quei
tempi
pullulavano
di
briganti.
Annidati
nei
boschi,
essi
piombavano
sui
poveri
viandanti,
li
derubavano
e
li
massacravano.
Io
vestivo
la
mia
armatura,
montavo
a
cavallo,
sguainavo
la
spada
e
accompagnavo
i
devoti
penitenti
fino
ai
santuari
della
montagna.”
“Ora
peró
si
dice
che
stai
assassinando
le
persone”.
“Non
é
vero.
Mi
hai
richiamato
al
mondo
delle
forme
e
sono
stato
costretto
a
riannodare
il
voto
che
avevo
fatto
da
vivo.
Ma
non
avendo
piú
corpo
posso
scortare
solo
delle
anime.
Il
mugnaio
l’
ostessa,
il
padrone
della
Casa
del
Monte
morirono
quando
Dio
lo
segnaló.
Io
li
scortai
soltanto
fino
ai
santuari
dell’
al
di
lá".
Messitilio
raccolse
le
ossa
sparse,
le
ammucchió
nel
mantello
e
le
riportó
al
cimitero
sulle
spalle,
preceduto
dallo
spettro
che
alzava
verso
il
cielo
la
spada
fiammeggiante
e
stracciata
dal
vento.
“Eccoti
accontentato”,
disse
il
vecchio
inginocchiato
sull’
orlo
della
fossa
dove
aveva
lasciato
le
ossa
del
conte.
“Riposa
in
pace”.
“Tu
pure”,
disse
lo
spettro.
Il
vecchio
si
rizzó
in
preda
ad
uno
spaventoso
presentimento.
“Cosa
vorresti
dire?,
mugoló.
“Ti
ho
scortato
fino
all’
ultimo
santuario
ed
ho
assolto
il
mio
compito
per
sempre.”.
La
voce
tacque
e
la
luce
si
spense.
La
gente
il
giorno
dopo
attese
invano
il
tocco
dell’
“Angelus”.
Messitilio
non
poteva
piú
sonare
le
campane,
giaceva
rigido
in
una
fossa
sopra
un
mucchio
di
ossa.
La
fiamma
in
quel
paese
non
si
rivide
piú.