Giuseppe Mezzadri
IL GARZONE D'OFFICINA
Quando iniziai a lavorare, nel ‘54, l’addestramento dei garzoni d’officina comprendeva anche scherzi un po’ bonari e po’ sciocchi che, perň, avevano il pregio di “scantare” i giovani. Al garzone poteva capitare di essere inviato a cercare attrezzi “fantasma” del tipo:
“Plata forta”, “squädor rotónd,
“fil ‘d fér d’aluminio”
e altri ancora.
I piů ingenui, talvolta, erano
mandati dal parroco a prendere “téra
d’ómbra dal campanil”. Oppure, se veniva a mancava corrente, all’Azienda
elettrica a comprare “un scatlón äd corénta”. (Uno scatolone di
elettricitŕ).
A 14 anni iniziai a lavorare in una officina
meccanica perché mio padre voleva che diventassi “meccanico di precisione” per
potere poi, in futuro, mettermi in proprio. Iniziava cosě la “carriera” a quei
tempi. La mia paga era modestissima ma mio padre non se ne curava. Gli premeva
soltanto che potessi imparare il mestiere e che fossi “sotta librett”.
Usava cosě.
Anche all’amico Giancarlo Bigliardi, ad esempio, all’epoca anche lui garzone in
un’officina, il padrone aveva promesso la paga “pigäda int ‘na foja äd
znévor”. Siccome la foglia di ginepro č aghiforme intendeva dire
che il ragazzo non doveva aspettarsi molto. In compenso, quanto all’orario, gli
aveva detto: “Né dě, né dě, a ot ór s’é chi”. (Tutti i
giorni al lavoro alle otto e, se necessario, anche alla domenica).
A questo proposito č indicativa il richiamo che un fabbro di cittŕ
indirizzň al garzone che, alle otto di sera, stava sgattaiolando per andare a
casa. “Veh lommo, guärda ch’an n’č miga la v’gilia ‘d Nadäl!”.
Compito del garzone era anche, dopo che gli operai avevano terminato il lavoro,
pulire macchine e pavimento dell’officina. Dato il modesto compenso, nelle
piccole officine, era consuetudine che sotto le feste di Natale i garzoni
andassero a “porgere” gli auguri ai fornitori dell’officina: corrieri ecc.
Qualcosa davano sempre. Era una vigilia di Natale e anch’io stavo facendo il
giro “canonico” degli auguri. Mi presentai da un corriere dicendo: “Són
gnů a portär j avguri”. “Mčtia lě”. (Mettili lě).
Vinto il primo imbarazzo insistetti:
“Verament a són gnů anca a tórja su”. “Alora tója su, indň at j č pozč i gh’én
ancorra”. Esaurite le battute, il fornitore dette la mancia.
All’epoca, se entrando in officina si sentiva odore di alcol denaturato, era facile sentir dire:
“A gh’é odór äd cojón”.
(Odore di sciocco perchč si č tagliato).
Erano i tempi in cui era normale pensare che, se
qualcuno si infortunava, la colpa era soprattutto sua che non era stato attento.
In realtŕ anche se č vero, come dice il mio amico Roberto, che “da furob
an s’é mäi fat mäl nisón”, oggigiorno la prevenzione degli
infortuni č tenuta in sempre maggior conto. A sedici anni, entrai a lavorare
alla Oreste Luciani. Era una bella azienda che costruiva caldaie e macchine per
“chiudere” i barattoli di conserva; le graffatrici. Quando ha chiuso i battenti
mi č dispiaciuto perchč č stata una bella officina in cui mi ero trovato bene.
C’era gente che sapeva lavorare bene. Dalla Luciani sono usciti abili artigiani
e imprenditori che hanno dato vita ad altre ditte molto importanti come: Vettori
e Manghi, Rossi e Catelli, Cagnin e Guarneri e altre. Lavorava colŕ anche
Ghiretti il fondatore della ditta OCME. L’inizio perň fu traumatico, un fratello
del titolare, Berto Luciani, il primo giorno di lavoro, mi accolse cosě:
“Serca äd zmumjärot parchč at gh’č un po’ la facia da stuppid”. “zmumjärot”
stava per “scantati”.
Superato il tirocinio cominciai a lavorare al
tornio. All’epoca non erano ancora molto usate le tolleranze di lavorazione
espresse in numeri e sigle inequivocabili. C’erano comunque degli artisti che
riuscivano a lavorare in modo molto preciso ugualmente basandosi sull’esperienza
e su indicazioni orali.
Esisteva un gergo. Il metallo asportato dal tornio si chiama “truciolo” e
l’operazione di asportare il metallo si dice “dare una passata”; in dialetto
“pasäda”. La “passata” puň essere profonda quando si “sgrossa” e
leggera quando si esegue la “finitura”. Indicazioni riferite alla sgrossatura:
‘na pasäda, ‘na béla pasäda, ‘na zgrosäda, ‘na béla zgrosäda.
Indicazioni riferite alla finitura: un’idea, un’ómbra, ‘na plucäda,
‘na zbarbiziäda.
Non ci giurerei sulla assoluta esattezza della
graduatoria. Infatti non sono certo che “un’idea” sia meno
di “un’ómbra” e questo vale anche per la “zbarbiziäda.”
Anni piů tardi i “garzoni” diventarono “apprendisti” e le cose migliorarono anche per loro.
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